Ho iniziato questo blog per fare ascoltare agli altri la mia musica. Un po’ per farmi pubblicità, un po’ per prendere un bel voto nel corso di “Music Industry” all’ università. Un po’ per trovarmi con Google.
Allora ho affittato un minuscolo spazio nell’ universo virtuale, un piccolo gazebo, nemmeno, un vaso da gerani dove mettere qualcosa da far veder agli altri: “Venghino signori, questo e’ quello che faccio io!”. Ora, i frequentatori di questo scarno mercatino erano principalmente reclutati tra le fila di parenti, amici e compagni di università, ovvero un pubblico che avrei potuto raggiungere attraversando la strada o facendo una telefonata, qualora volessero essere aggiornati sulle mie vicissitudini musicali. Un pubblico di tutto rispetto, sia chiaro, ma forse un po’ troppo poco virtuale per giustificare la mia presenza in rete.
Non volendomi disfare del mio umile vaso di innocuo narcisismo, decisi allora di dedicarmi alla sola altra cosa che sapevo di saper fare: scrivere. Considerando che gli unici testimoni delle mie incursioni nel mondo letterario erano la mia insegnante di lettere del liceo ed i miei genitori, la media dei miei lettori non poteva che aumentare. Ma quando e’ venuto il momento non ho scritto perche’ dovevo scrivere. Ho scritto perche’ dovevo dire qualcosa.
E cosi’ ho scritto una sera in cui non ne potevo più di dove stavo, con chi ero, cosa stavo facendo. Ho scritto per fare un riassunto di quattro anni della mia vita e darci un senso in quattro ore. E poi e’ successo qualcosa che non mi aspettavo, dalla nebbia virtuale hanno incominciato a spuntare gli altri, altri che si facevano le stesse domande, gli stessi riassunti. Altri con i loro vasi, borse, scatole di storie e di cose che hanno fatto. Pian piano il mio mercatino univoco si e’ trasformato in uno scambio merci in miniatura. Un incontro di “Italiani anonimi” che non riescono a restare sobri dai ricordi della loro terra.
Oggi mi riempio gli occhi leggendo queste storie meravigliose, e nei loro racconti mi immagino la Sicilia, Firenze, le nebbie del Nord. Penso alle loro case e penso alla mia.
Forse tutti abbiamo tre case, quella in cui nasciamo e cresciamo, quella che forma la nostra identità primordiale di esseri umani. Quella e quelle in cui ci trasferiamo, in un nuovo Paese, citta’ o quartiere, la casa a cui ci adattiamo e che adattiamo a noi. E poi una terza, una casa che e’ uno stato d’ animo, quello di adesso, quello in cui saremo domani, o uno che ancora non immaginiamo. Forse e’ in questa terza casa che ci troviamo io e i miei Italiani anonimi. Entriamo, ci sediamo al tavolo ci diciamo che ci manca l’ Italia. Non e’ una casa in cui possiamo rimanere sempre, ma la porta e’ aperta.