Al lunedi’ e mercoledi’ mattina insegno musica in due asili locali. Tutti i lunedi’ e mercoledi’ mattina, alle nove, sono in macchina; indirizzata verso la mia destinazione. E tutti i lunedi’ e mercoledi’ mattina, alle nove, nello stesso esatto tratto di asfalto, trovo la stessa prostituta che come me va al lavoro. Non cedo che anche lei vada all’asilo a insegnare filastrocche. Ad ogni modo, per un brevissimo frangente di strada provinciale, viaggiamo entrambe nella stessa direzione, io verso la scuola, lei verso il suo ombrello rosso. Salvo questa coincidenza spazio-temporale presumo che le nostre vite non si somiglino affatto; eppure non posso fare a meno di speculare sui parallelismi metaforici fra la mia professione di musicista e la sua.
Ad esempio, se dovessimo compilare una di quelle umilianti indagini di mercato, dove si e’ costretti a far ricadere il proprio lavoro in una casella predefinita, finiremmo entrambe nella categoria “Intrattenimento”. Inoltre, lavoriamo in quello che e’ il “tempo libero” degli altri, finendo per non aver alcun “tempo libero”, o spenderlo in solitudine nella corsia degli shampoo del supermercato (perche’ gli altri a quell’ora lavorano). Nei nostri reciproci ambienti abbiamo a che fare piu’ con uomini che con donne; di conseguenza siamo costantemente vittime di attitudini maschiliste, piu’ o meno invasive (tanto che, se chiedeste a un musicista di sesso maschile, vi direbbe che fra una cantante e una prostituta non vi e’ proprio alcuna differenza). Per entrambe, la possibilita’ di lavorare e’ determinata dalla nostra salute fisica; che nel mio caso e’ circoscritta all’apparato respiratorio. Tralascio una ridondante metafora sull’artista che vende se stesso al pubblico perche’ mi sembra una svilente romanticizzazione della professione di entrambe.
Non e’ la prima volta che ho l’occasione di riflettere su queste connessioni. Mi era gia’ capitato qualche mese fa quando, in viaggio verso l’aeroporto alle quattro del mattino, di ritorno da un tour; ho incrociato un gruppo di ragazze che, accompagnate dal pickup bianco del datore di lavoro, tornavano a casa dopo il “turno di notte”. Un richiamo alla realta’ che ridimensiona in un istante il sentirsi troppo “artisti”.
Ed eccoci qui, alle nove del mattino, due donne che lavorano. Non so a che posizione della classifica si trovi il mio mestiere, ma di certo il piu’ antico e’ il suo.