Due anni fa tornavo in Italia, dopo aver vissuto per sei anni in diverse parti dell’Inghilterra. Da allora mi e’ stata fatta una domanda, ciclicamente; che non e’ “Scusi, sa dov’e’ via…” chiesta dagli estranei che non conoscono la mia incapacita’ di ricordare il nome di nessuna strada, neanche quelle del mio paese. La domanda che mi fanno parenti, amici, persone che incontro sul lavoro e che sanno di questo dettaglio della mia vita e’ “Ti manca l’Inghilterra?”
E’ una domanda che mi sembra strana, e al primo impatto mi infastidisce; perche’ in realta’ non e’ affatto una domanda, ma presuppone che io risponda “Si, mi manca l’Inghilterra”. Implica che io sia stata obbligata ad andare via, che non sia stata una mia scelta.
Nell’interlocutore che sta dietro a questa domanda c’e’ la percezione che la vita all’estero sia sempre un po’ meglio di quella a casa propria, cosa che e’ solo parzialmente vera. Sono talmente capillari i fattori che influiscono sullo stile di vita di una persona che bisognerebbe considerare non solo la propria professione, ma anche il sistema educativo e sanitario, il clima, la lingua parlata, la religione professata e moltissimo altro per capire se in un paese diverso staremmo davvero “meglio”.
E tuttavia, vivere all’estero e’ sempre percepito come una specie di vacanza a lungo termine, in cui tutto e’ per definizione splendido e invidiabile da chi invece, per un destino avverso, e’ martirizzato a restare dove ha sempre vissuto.
Quando mi chiedono se mi manca e se ci vorrei tornare dico “No, ora no”. Innanzitutto perche’ quella e’ stata una fase della mia vita (da studente universitaria) bellissima e irripetibile, ma se fossi rimasta oltre quel periodo non sarebbe comunque stato lo stesso. Sarebbe stato come andare alla festa del liceo a venticinque anni.
In secondo luogo ho capito di essere, in fondo, una persona legata al suo paese di origine, soprattutto alle dinamiche sociali che nel mio paese si sviluppano. L’Inghilterra non e’ un paese in cui i rapporti fra le persone nascono cosi’ spontaneamente, a meno che non ci si auto-ghettizzi con altri italiani o stranieri, o si rasenti l’alcoolismo alle cinque del pomeriggio.
E, in ultimo, credo sia stato fondamentale capire cosa rappresenti per me l’Inghilterra, aldila’ del luogo geografico.
Per me vivere in Inghilterra ha significato raggiungere l’indipendenza, poter decidere per me stessa; anche e sopratutto nel momento in cui ho deciso non viverci piu’. L’Inghilterra e’ sentirmi creativamente stimolata e supportata da una comunita’ di giovani musicisti. E sono tutte cose che, scavando un pochino piu’ a fondo, e’ possibile costruire anche qui.
Certo, mi si stringe la gola quando sento un accento fitto del nord in un poliziesco, incapibile per la maggior parte delle persone, ma non per me; oppure quando leggo Caitlin Moran e so esattamente di quali circostanze sociali sta parlando. Mi mancano le piccole cose, come fare colazione col porridge, quello vero, non l’aveva a blocchi che si trova qui; e il gusto del te’ col latte, che sembra impossibile ricreare anche portandosi a casa le scorte di Yorkshire Tea direttamente da Leeds.
Tutto questo e’ quello che provero’ sempre per un paese che ho scoperto e amato, e che ha avuto un posto fondamentale nella mia vita.
Ma bisogna essere in grado di valutare costantemente la propria esistenza e decidere, ogni volta, dove ci portera’ il cambiamento: accettare che il “meglio” di oggi non e’ necessariamente “meglio” per sempre.