Ostacoli (Premio Lelio Luttazzi)

Foto di Nadia Pastorcich

Foto di Nadia Pastorcich

Al corso di scrittura di Raul (Montanari) ho imparato che una storia è tanto più avvincente, quanto lo sono gli ostacoli che separano l’eroe dal suo obiettivo. Succede nei libri, ma anche fuori dai libri.

Quando ho deciso di iscrivermi alla terza edizione del Premio Lelio Luttazzi, certo, c’erano degli ostacoli prevedibili al buon esito del concorso: altri candidati, il giudizio della giuria, una laringite dell’ultimo minuto. Poi ci sono stati gli ostacoli imprevedibili. Per mantenere una struttura narrativa coerente ne racconterò tre.

Primo ostacolo: il microfono

Nella fase di selezione “via posta”, bisognava mandare il proprio brano su CD. Per registrarlo ho chiesto aiuto al mio amico pianista Mirko Puglisi.

“Lo porti tu il microfono?” mi aveva chiesto Mirko. “Io ne ho uno ma non è molto affidabile: ogni tanto salta e smette di registrare.”

Sono andata nel suo studio e ho portato tutto: lo spartito del pezzo stampato in triplice copia di riserva, gli evidenziatori per segnare in colori diversi dinamiche, modifiche alla struttura o all’arrangiamento; anche le caramelle scaramantiche al propoli.

Il microfono non l’ho portato; per fortuna quello di Mirko ha funzionato.

Secondo ostacolo: la base

Il 4 maggio arriva l’email che speravo.

Cara Caterina,

la Fondazione Lelio Luttazzi ti informa che sei stata ammessa alle pre-finali. A Trieste interpreterai il tuo brano SCHELETRI A BALLARE. Ti prego di farci sapere al più presto se avrai una base, oppure suonerai al pianoforte?!”

Le ho provate tutte, tormentando la paziente Rossana Luttazzi: ho chiesto una sezione ritmica (piano, chitarra, basso e batteria) in dotazione, ho chiesto se uno dei pianisti in concorso potesse accompagnarmi; ma nessuna di queste opzioni era praticabile. Ho anche riarrangiato il brano usando una loop station, per usare solo la mia voce: un ultimo delirio alimentato dall’ansia.

Allora ho deciso di fare la cosa che mi faceva più paura in assoluto: suonare il piano. Posso dire oggi che è stata la scelta giusta (anche grazie ad un altro amico, Luca Casarotti che mi ha passato “sotto banco” i voicings giusti).

Terzo ostacolo: il vestito

Si va alla finale di Roma! Preparo la valigia, e anche se mi serve ben poco è importante scegliere il vestito giusto. Niente di troppo vistoso o scomodo: meglio restare sobri, eleganti una volta tanto. Scelgo una tuta blu semplice con le scarpe da tennis: già devo suonare il piano, non voglio rischiare di scivolare sui pedali con i tacchi che non so comunque portare.

Lascio il vestito appoggiato alla sedia della cucina, ancora caldo-umido dal ferro da stiro. E Cato, il mio gatto rosso a cui voglio più bene degli altri, mi guarda dritta negli occhi: un serial killer che incrocia il suo sguardo con la vittima; e piscia sopra la mia tuta blu.

Rinuncio all’outfit perfetto, ormai un omen marchiato dal gatto. Per fortuna di tute da sera ne ho più di una.

Buon ascolto.

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